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CONTRIBUTIONS: PAOLA GAUDIO

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Key words: Città. Equilibrista.
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La città e la memoria.
per Paola Gaudio


E piacevolissima e sentimentalissima la stessa luce veduta nelle città, dov'ella è frastagliata dalle ombre, dove lo scuro contrasta in molti luoghi con il chiaro, dove la luce in molte parti degrada appoco appoco, come sui tetti, dove alcuni luoghi riposti nascondono la vista dell'astro luminoso (...) A questo piacere contribuisce la varietà, l'incertezza, il non vedere tutto, il potersi perciò spaziare con l'immaginazione riguardo a ciò che non si vede. E piacevolissimo ancora, per le sopraddette cagioni, la vista di una moltitudine innumerevole, come delle stelle, o di persone, (...), un moto molteplice, incerto, confuso, irregolare, disordinato, un ondeggiamento vago (...) che l'animo non possa determinare, nè concepire definitivamente e distintamente..
G. Leopardi, Zibaldone dei pensieri
(1)
Un giorno, un Bambino che stava viaggiando si perse in una città. Ci arrivò all'improvviso, senza sapere come e perchè, non ricordava bene chi fosse, nè da dove venisse. Questo non lo preoccupava molto: sapere della propria identità in quel momento non era importante quanto il fatto di trovarsi in un luogo per lui così misterioso e sconosciuto. Si sentiva emozionato e dominato da un forte impulso di conoscenza e scoperta irrefrenabile che è quasi una componente alchimica dell'essere bambino, che gli adulti invano tentano di imitare o capire. Il senso del mistero alimentava la sua immaginazione e lo proiettava verso nuove realtà molto più attraenti di un parco di divertimenti.

- Che strano, questo posto! Quanta gente, quante case... Come ci sono arrivato?... E adesso dove vado?... A destra... A sinistra... Avanti...Indietro.
(1)
"... Quando penso ad una città mi viene in mente una caotica esplosione di forme, colori sviluppatesi in un tempo che supera e involve chiunque ci si addentri... Come in un paesaggio dalla dirompente naturalezza, ogni più piccolo elemento crea infinite sfumature che solo una attenta osservazione può percepire. L'aria è spessa, carica di significati, sospesa in una dimensione non misurabile, indefinita, illimitata...Nessuna sua parte è più importante dell'altra, nessun dettaglio classificabile in una scala di valore crescente o decrescente; non ha senso parlare di "più" o di "meno", ha senso solo parlare delle cose che esistono. A partire dal loro "esistere", dal loro "esserci" definiscono spazi, costruiscono architetture, dalle regole temporali proprie, intrinseche al loro "esserci ora", che rispetto al tempo di qualsiasi essere vivente è un "ininterrottamente esserci". Chi si perde in una città non può che percepirne un frammento, il frammento della propria esistenza, mettendo istintivamente in atto un processo di appropriazione che vuol ordinare il frammento...Risponde ad un desiderio di dominio, controllo determinato dalla sua volontà, da un istinto di sopravvivenza che vuol lasciare tracce del proprio passaggio.."
(2)
Era colto da una sensazione di smarrimento: di fronte a lui si potevano aprire mille percorsi e strade, o forse neanche uno... I suoi occhi andavano alla ricerca di qualsiasi elemento o dettaglio che, distinguendosi dal resto, potesse indicargli una direzione. Non la incontrò... Smise allora di cercarla, per lasciarsi semplicemente trasportare, senza volontà, sensa intenzioni... Così, senza più distinguere il "mezzo" dal "fine", iniziò il suo nuovo viaggio, in una perfetta fusione con il luogo che lo circondava...
(2)
"... il processo istintivo di appropriazione si manifesta con maggiore intensità, quando bisogna interagire e confrontarsi con un elemento di cui non si può avere il controllo assoluto, per reagire ad una sensazione di smarrimento o perdita di coordinate, simile a quella che si può provare in un labirinto o in un deserto. Penso che lo smarrimento sia l'unico vero paradigma che segna il "riconoscimento di appartenenza" alla città-labirinto moderna. Tale riconoscimento inteso come assenza amplifica la sensazione di estraniamento, a ben vedere contraddittorio, che scaturisce dal perdersi in questo luogo creato dall'uomo per l'uomo...
(3)
- ...Un attimo fa ero non so dove e adesso cammino per le strade di questa città, in mezzo a questi enormi edifici... Sembrano scavati in una materia che è qui da sempre... Quante finestre che mi guardano senza dir niente...Osservano silenziose tutto quello che succede nella strada che è simile ad un sottobosco...

Osservava così intensamente da poter percepire, di qualsiasi cosa, il più piccolo dettaglio; i suoi occhi in costante movimento, funzionavano come l'obiettivo di una macchina fotografica, la sua mente come un negativo sensibile alla luce sul quale si fissa ogni elemento... Inoltre era dotato di una straordinaria capacità che gli permetteva di avere quasi simultaneamente e senza muoversi, diversi punti di osservazione. Così, fermo nell'angolo di una strada, o in mezzo ad una piazza, di fronte ad un edificio che quasi poteva schiacciarlo, guardandolo col naso all'insù, poteva quasi allo stesso tempo, osservare dello stesso edificio il suo tetto, e, dall'alto di quest'ultimo osservare la strada e anche riconoscersi, in mezzo al movimento dei passanti piccoli come punti; e alzarsi ancora più in alto, così che al tetto di un edificio se ne potesse aggiungere un altro e un altro ancora e infiniti tetti più alti, più bassi, alternarsi a terrazze e ad un numero straordinario di antenne e camini, naturale cornice all'azzurro del cielo e che insieme costituivano un'altra faccia della città. Il suo sguardo, il suo modo di osservare poteva tendere all'infinito, poteva perdersi all'infinito, in una percezione astratta e complessiva, ma, allo stesso tempo, dalla stessa percezione poteva discernere ogni elemento nella sua unicità: il verde inaspettato di un giardino nel cuore della città, il disegno particolare della balaustra di un balcone, l'insegna colorata di un negozio, il portale di un antico mercato...Una continua fluttuazione, inimmaginabile per qualsiasi altra persona, che lo faceva sentire vivo: percezione allo stato più elementare e allo stesso tempo assoluto!
(3)
"...è lei, la città, che sempre mi seduce... Non posso smettere di guardarla, in silenzio e a volte quasi di nascosto... Conoscere i suoi ritmi, la sua vita, scoprire quanto è diversa con il sole o la pioggia, come cambia a seconda dell'ora del giorno e della notte... All'alba, con la luce del sole che sta sorgendo, riflessa da una finestra all'altra, con i rumori attutiti e discreti di un luogo ancora addormentato, l'atmosfera è sospesa, e il nottambulo che torna a casa se ne appropria silenziosamente in un modo intimo e personale. Quando con il trascorrere delle ore, le strade iniziano a riempirsi di vita, i suoni familiari ogni giorno immancabilmente ritornano rassicuranti; al tramonto, invece a dialogare sono i rossi delle pareti in mattoni, che si tingono intensamente. Al calare delle prime ombre notturne, quando lentamente da punti lontani e indistinti si accendono le prime luci, la città cambia aspetto e si anima di nuova vita.
Quante volte mi sono fermato a guardare lo stesso edificio, chiesa, o piazza, quante volte ho ripercorso lentamente le stesse strade...Sempre mi sono sorpreso nel poter leggervi qualcosa di distinto, sempre è stata una scoperta. Riuscire a guardare un paesaggio, una architettura centinaia di volte per continuare a sorprendermi: è questo che mi fa sentire ogni giorno diverso e vivo! Come il riflesso di uno specchio, lentamente e ciclicamente, anche la città nella sua vitalità cambia e si rinnova..."
(4)
- ...O bellissimo guardare tutto... Faccio parte della città, assorbito nel suo movimento e dinamismo, perso nella sua vita... Non riconosco più i miei occhi...Quali sono le mie sensazioni?...

Era incredulo osservatore in un tempo "senza tempo" in cui suoni, odori, immagini iniziavano a susseguirsi sempre più veloci, in modo caotico, tumultuoso e ossessivo. Flussi di energie senza direzione si incontravano, si sovrapponevano, si parlavano, si scontravano... I suoi sensi, ormai congestionati, tentavano di captare ancora una volta simultaneamente tutto questo universo, lo faceva con fiducia, però nell'istante successivo alla sua visione tutto scompariva dalla sua memoria senza lasciar tracce, come se non fosse mai passato, tutto si liquefaceva rapidamente con la stessa velocità con cui immagini martellanti si succedono su un video impazzito.

-... Mi sento strano, cosa mi sta succedendo ?

Il vago e sottile senso di malessere che iniziava a provare dipendeva dalla nuova necessità di porre un limite tra la sua soggettività e il mondo che lo circondava...
(4)
"..Sto pensando ora all'abito di un famoso stilista, alla modella che lo indossa e che sfila in passerella; penso alla violenza a cui è sottoposta, quella dei mille occhi a cui viene offerta, occhi alla ricerca della bellezza apparente, della vanità costosa, dell'evanescente elevato al grado di realtà.O la perenne ricerca dell'effimero, che trasforma in squallore una quotidianità troppo maltrattata, vista come successione di ore, minuti tutti uguali, uno scorrere del tempo senza variazioni e senza emozioni... Sto pensando ad un teatro, la cui unica ragione d'essere è la messa in scena, sono gli applausi del pubblico galvanizzato, è l'attuazione degli attori illuminati dalla luce accecante dei riflettori. Penso a quando le luci si spengono, e nel teatro vuoto gli echi degli applausi lentamente si perdono in un silenzio che si fa assordante, quasi insopportabile, nell'attesa che torni di nuovo ad animarsi con una nuova rappresentazione.

Sto pensando alla cultura del nuovo che avanza con la violenza di un martello demolitore, che riveste la città, la mercifica e la offre al miglior offerente..."
(5)
- Mi sento come su una giostra di un luna park, bella, veloce, colorata...Non voglio scendere, voglio continuare a giocare... Però perchè non va via tutta questa paura che ho...Mi lancia in alto, più in alto di tutte le altre, mi toglie il respiro... Mi riprende giusto un attimo prima di cadere al suolo... Ogni volta che mi lancia in alto non so dove andrò ad atterrare...

Inconsapevolmente, iniziava a provare sensazioni, che non riusciva a decifrare nè ad esprimere, ma che si facevano sempre più pressanti, e gli permettevano di stare al mondo come essere autonomo e con una sua soggettività, forse così, finalmente, avrebbe potuto interagire con altre diverse, e con il luogo in cui si trovava...
(5)
"... forse è per questo che quando penso ad una città nascono in me sensazioni simultaneamente contraddittorie, piacere e disgusto, attrazione e repulsione al tempo stesso...."
(6)
- ...Continuo a cercare, non posso fermarmi... Inizio ad essere stanco...Perchè nessuno parla con me?...

Era proiettato completamente in avanti, teso ad un continuo superamento di un limite sempre più mobile, instabile, precario. Esisteva in lui la voglia di scopripre, di guardare che vinceva qualsiasi paura; una marea di persone, vera muraglia umana, lo travolgeva; gli risultava difficile estrarre volti, corpi indipendenti e autonomi, in uno sforzo estremo allungava le braccia, in un tentativo di toccare, di sentire, entusiasta di comunicare ad ognuno la sua presenza, di raccontare la sua storia. Sapeva bene che all'interno della marea compatta che apparentemente formava un'unica unità, circolavano sentimenti, energie, pensieri uno diverso dall'altro. Vide da lontano un bambino, guardandolo attentamente si accorse di quanto fosse diverso da lui, gli andò incontro per conoscerlo.
(6)
"...Mi viene alla mente un uomo che osservai a lungo. Ogni giorno si lasciava condurre lungo strade e itinerari della sua città tanto conosciuti da non permettergli più di vedere, il suo volto era una maschera impassibile, dove forse una tenue luce dei suoi occhi lasciava vedere il vuoto devastante che si portava dentro, l'uniformità del sempre uguale che gli fece perdere nell'oblio qualsiasi desiderio. In mezzo a molta gente, non vedeva nessuno, e nessuno che si accorgesse di lui... L'espressione dei suoi occhi mi ricordava qualcosa, qualcosa che avevo già visto... L'abisso esistenziale che Picasso ritraeva nei suoi quadri di clown e pagliacci, dalla passiva e inerme rassegnazione... Forse coscienza di un non-ritorno. Mi viene alla mente un bambino dallo sguardo mobile e sfuggente, che si poggiava sulle cose sfiorandole e appropriandosene con forza, divorandole e lasciandole andare un attimo dopo. Non poteva vivere in un giorno le stesse cose del precedente, ogni giorno doveva essere diverso dall'altro. Era alla continua ricerca del "sempre nuovo", che potesse fargli dimenticare, almeno solo per un momento, la profonda sensazione di noia che provava rispetto a tutto ciò che lo circondava..."
(7)
Gli si avvicinò cauto e iniziò a parlargli:

- Era da tanto che ti stavo cercando. Sono arrivato in questa città perchè mi sono perso... Non ne avevo mai vista una così! Ad essere sincero, forse non ne avevo mai vista una...Mi sembra tutto come in un sogno...O forse una città che fabbrica sogni?

Dopo un attimo di incertezza l'altro gli rispose un po' sorpreso per quella domanda imprevista:

- Una città che fabbrica sogni non esiste! Magari ci fosse... Qui è tutto tremendamente noioso per tutti quelli come me, che ci sono nati... O così noioso che ormai tra noi della città non si parla più: che senso ha ripetersi e dirsi sempre le stesse cose, con le stesse parole, ogni giorno, tutti i giorni...

Il Bambino non si lasciò influenzare dalla poca disponibilità del suo recente interlocutore, gli rispose con entusiasmo:

- Se ti annoi tanto perchè non vieni con me? Ci sono tante cose curiose da vedere, alcune già le ho viste, però ancora me ne mancano molte altre, se mi accompagni, sicuramente sarà più divertente!

Il bambino della città stava già andando via, quasi senza più ascoltare lo strano Bambino che gli aveva parlato, quando si fermò un attimo ad osservarlo...Venne colpito dal suo sguardo, dai suoi occhi, mai ne aveva visti di simili: profondi da perdercisi dentro, così penetranti da aver timore di venire scoperto, smascherato di qualcosa che neanche lui conosceva. Si fermò un momento, giusto il tempo per decidere di andare con lui.

- D'accordo, vengo con te, ti accompagno, però prima dimmi come ti chiami. Io sono Xavier.

- Nome? Non ricordo il mio nome... Però tu puoi chiamarmi come più ti piace...

- Non sai come ti chiami!... Io posso darti un nome, pensi che questa sia una città in cui si fabbricano sogni...Sei il bambino più strano che abbia mai conosciuto!

Nonostante le titubanze di Xavier che lo osservava con un misto di timore e curiosità, i due bambini iniziarono a camminare insieme, allontanandosi dal caos involvente; il Bambino dagli occhi penetranti aveva deciso che era arrivato il momento di conoscere, (se esisteva ), il cuore della città, la sua anima...
(7)
"...Quando ho bisogno di riapproriarmi della mia identità, di quello che sono, di quello che sto cercando, l'anima della città è l'unico luogo nel quale possa recarmi... Non è solo un rifugio dove andare quando ho paura, ma soprattutto è un luogo dove tornare quando perdo i riferimenti importanti, quando un ritmo che mi supera e non mi appartiene finisce per dominare la mia vita. Posso sentire e sentirmi in una dimensione che mi trascende; come quando ascolto una sinfonia, o guardo un'opera d'arte di una straordinaria bellezza, i miei limiti fisici e temporali spariscono per un solo lungo istante, percepisco che sono parte di un tutto (o di un niente) straordinariamente grande...O un luogo nostalgico, evocativo di qualcosa a cui tende ogni mio gesto e che, una volta raggiunto, ha la durata fugace di un attimo...
(8)
Il paesaggio iniziò a cambiare, entrarono in strade sempre più strette e buie. Alla precedente sensazione di spaesamento ne subentrò un'altra completamente diversa: i suoni, il movimento, lo spazio, tutto rispecchiava una dimensione ridotta e familiare. Non c'era più il rumore indistinto di sottofondo,ogni suono rimandava a qualcosa, ogni voce rimbalzava, amplificata, contro la profondità dei muri. Non era tutto: nel Bambino si stava producendo una lenta e profonda trasformazione, quello che era iniziato come un viaggio alla scoperta di nuove realtà si stava trasformando in un viaggio alla scoperta di se stesso e di qualcosa di infinitamente grande nascosta dentro di lui...

- ... Mi sento diverso. Mi guardo intorno e riconosco quello che sto vedendo... Io stesso mi riconosco!

Xavier che si agitava nervoso al suo lato non si era accorto del suo cambiamento, non soffermandosi a guardare bene il luogo in cui si trovava, con la voglia già di andar via. Gli parlò calmo:

- Xavier prova ad osservare tutto questo realmente: osservalo standoci dentro, confondendoti con queste pareti con questi suoni, non riconoscendoti più, dimenticando per un momento, solo per un momento, quello che sei e quello che ci siamo lasciati alle spalle...

Xavier volle tentare, iniziò a guardare con occhi diversi; l'agitazione di un momento prima scomparì quasi per magia, inconsapevolmente iniziò a trattenere il respiro. Fu allora che il suo intorno cambiò: angoli in un'umida penombra, finestre spalancate dalle quali giungevo suoni che rimandavano ad un interno di vita domestica, fatta di gesti semplici e quotidiani; finestre dalle persiane socchiuse che lasciavano pensare a stanze buie ancora addormentate; portoni imponenti e altri su cui il passaggio delle stagioni aveva lasciato le sue tracce, segni indelebili... Ogni elemento con la sua storia unica e irripetibile già vissuta che lasciava pensare alla storia che si stava in quel momento compiendo, e a quella che sarebbe stata nel futuro. L'intensità con cui stava sentendo, costrinse Xavier a chiudere gli occhi per un momento e prender fiato... Respirò a fondo, nella sua bocca sentì il sapore di quello che stava respirando. Era tutto incredibile! Si voltò a guardare con occhi increduli il Bambino, l'emozione e la sorpresa gli fecero dimenticare molte domande sul significato di ciò che aveva provato, sulla reale identità di quel suo nuovo e strano compagno di avventure...
(8)
"...La città storica, la sua architettura è dentro di me, come io sono dentro di lei. O un'architettura definita dalla sua geometria, fatta dai materiali, rielaborata dal passare del tempo che è aleatorietà dell'imprevisto. La città storica è fatta di materia, di forma, di tempo, che è tempo cronologico e memoria, impalpabile, invisibile, indefinibile.
Il tempo della memoria è il tempo del passato e del ricordo, in cui le immagini dei luoghi si sovrappongono ai volti delle persone, stati d'animo riaffiorano, l'architettura si carica di nuovi significati, che trascendono la stessa volontà di chi l'ha creata.
Il tempo della memoria è il tempo del presente, che permette di incontrare, riconoscere e leggere i messaggi anche su una parete segnata dall'usura del tempo.
Il tempo della memoria è il tempo del futuro, che permetterà di crescere come persone libere dalle regole imposte da mode passeggere, di distinguere il falso dal vero, di non credere che sono le cose a darci significato, ma che è la nostra immaginazione, il nostro modo di guardarle, di ascoltarle, di sentirle a dar significato alle cose..."
(9)
Ripresero a camminare, ognuno dei due ancora concentrato sulle personali scoperte appena fatte. Quasi subito però, la loro attenzione fu richiamata da altre presenze, lì nel cuore della città: spiazzi improvvisi pieni di luce, che contrastavano con la generale densità del luogo, di fronte ai quali si alzavano intere pareti cieche definite da una fitta trama geometrica e colorata. Xavier che ormai aveva imparato ad osservare, si divertiva a "leggere" le facciate, ricercando analogie cromatiche, equilibri compositivi, giochi di textures, tutti esercizi stilistici da fare invidia al migliore dei pittori astratti. L'interesse del Bambino andava oltre, così si avvicinò incuriosito.Avvicinandosi capì che quello che mancava non ci sarebbe più stato, mancava perchè era stato distrutto.

- Perchè? - si chiese stupefatto e senza capire...
(9)
"...La memoria aiuta a vedere la differenza tra un teatro e una città, tra una scenografia e una architettura, tra l'effimero e la realtà. Perchè allora, quasi con una sensazione di leggerezza ci si vuole liberare di lei, come di un macigno che non fa avanzare? Perchè ogni azione che si compie prima che "essere", sempre è un "rappresentarsi"?

... Perchè?..."

L'uomo che stava scrivendo si fermò improvvisamente. Aveva un'età indefinibile, il suo sguardo trasmetteva molta vitalità, però le sue mani dalle lunghe dita magre che stringevano ancora la penna e il suo volto presentavano segni, cicatrici, rughe, che tradivano una vita intensamente vissuta.Si sentiva molto stanco, continuare a scrivere gli sembrava una idea adesso insopportabile. Lasciò cadere la penna sul nuovo foglio ancora bianco, decise per il momento di non scrivere più...
(10)
- Vorrei distogliere lo sguardo, ma non posso smettere di guardare... Vorrei correr via, ma una forza sconosciuta mi obbliga a fermarmi qui immobile...

Poco alla volta si era ricomposto un livello di comprensione delle cose chiaro e profondo. Poteva vedere negli edifici lacerati, le immagini della vita quotidiana delle persone che lì vissero, poteva ascoltarne le voci, degli stessi edifici vedere il lavoro delle persone che li costruirono...

Xavier non sentiva e non vedeva niente di tutto questo, pronto per proseguire, iniziò a muoversi, cercando di spingere il Bambino,che con una nuova severità gli disse:

-Fermati e ascolta!

Xavier si sforzò di ascoltare. Gli arrivarono suoni, poi frammenti di parole. Era sogno o realtà?

-............imm..............cas..................hia.............er.... ...........
.............ci......................le...................uir........uov. .......an...e.........st..
..ch.................tono...........un..............ier...............iso gn...........cia............

- ......ble.............imm..................uov...................zza..... .............ittà.............

Sì, stava sognando, si voltò sorpreso e un po' spaventato a cercare nel suo compagno un gesto, uno sguardo rassicurante che non incontrò; l'altro era completamente assorbito dall'ascolto dei frammenti di conversazioni quotidiane che gli arrivavano dai resti:

- Dicono che presto dovremo andar via, perchè la nostra casa è troppo vecchia per poter continuare a viverci, che è più facile costruire nuove case che risanare queste che già esistono. E poi, questo è un quartiere che bisogna "rilanciare"...

- Sì, è un problema di "immagine", una nuova piazza sicuramente migliorerà la città...

-...Dove andremo a vivere?...



La visione dei resti e l'ascolto delle voci provocarono nel Bambino uno stato d'animo di paralisi, fatto di impotenza, paura; una sensazione di sofferenza profonda si impadronì di lui, come se le mancanze che aveva visto avessero lasciato tracce indelebili sul suo stesso corpo.
Ripresero a camminare lentamente, silenziosi, ognuno dei due chiuso nei propri pensieri, nella propria inquietudine. Il silenzio non durò a lungo, esplosero una serie di domande, interrogativi che acquistavano una forza dirompente, la necessità di trovare a tutti i costi delle risposte convincenti. Xavier fu il primo che parlò:

- Ho fatto uno strano sogno ad occhi aperti, guardavo queste vecchie case e iniziavo ad ascoltare suoni strani, umani però irreali, avevo paura.

- Non stavi sognando, le vecchie case tentavano realmente di parlarti, ma la tua paura ti ha impedito di ascoltare il loro messaggio.

- Di quale messaggio stai parlando, e come è possibile che delle case che stanno per demolire possano parlare... E anche se tu lo avessi ascoltato, che importanza vuoi che abbia, adesso: il passato è passato non ha senso pensare a ciò che vuol dire, perchè vuoi sforzarti tanto?

- Perchè non posso vivere il mio presente e pensare al mio futuro senza ricordare costantemente quello che sono. Il passato è la mia memoria, il mio presente unisce passato e futuro.

- ...presente...passato...futuro...memoria....non sono sicuro di capire, disse Xavier

- Il senso di un riconoscimento della esistenza, dell' "esserci" deve passare secondo una direzione obbligata, che è quella della propria memoria. Gli adulti pensano ai ricordi dell'infanzia come a momenti di rimpianto di cose belle trascorse, non sempre pensano che costituiscono la base di ciò che sarà ma che non è ancora.

- D'accordo, ma cosa c'entrano i ricordi degli adulti con la città, con queste vecchie case senza alcun valore?

- La vita di ogni persona è fatta di attimi, momenti molto diversi tra loro; a quelli importanti si alternano momenti più difficili; sconfitte, rinuncie, conquiste, la voglia di crescere e migliorare dipende dalla capacità di sintetizzare in una unica esperienza questi momenti, senza esclusione. Nella città le esistenze di singole individualità si intrecciano e si incontrano, dando origine alle cose più diverse, ad espressioni grandiose quanto alle più piccole e semplici; ci sono infinite sfumature, come nella vita di ogni uomo.

- Stai cercando di dirmi, forse, che dietro tutto questo che stiamo vedendo ci sono la volontà, i gesti, le parole e le intenzioni di un numenro inimmaginabile di persone?

- Esattamente! Siamo di fronte a stratificazioni diverse nel tempo e nello spazio che costituiscono la sintesi dell'esistenza della città, della sua forma di essere; gli oggetti prodotti sopravvivono agli individui che li hanno prodotti continuando a trasmettere il loro messaggio di civiltà a quegli uomini che sanno intenderlo; questi oggetti sono anche queste case. Non pensi che questo abbia un valore?

- ...si, forse si...non ne sono sicuro. Le cose oggi cambiano molto in fretta, è importante guardare in avanti...

- Certo, però sapersi proiettare verso un tempo che non tornerà più è importante quanto saper progettare il futuro. Se la nostra mente riuscisse a concepire che il nostro presente è parte e frammento della continuità ininterrotta del tempo, avremmo chiara la valutazione di come sia simile il fatto di poter posare un piede sulla luna o fermarci ad osservare qualsiasi cosa che possa avere valore documentario del passato.



Xavier rispose molto seriamente:
- Fino a questo momento mi sono sempre sforzato di capire esattamente quello che hai cercato di dirmi, e ho anche fatto le cose che tu mi dicevi di fare, come guardare, come osservare; mi hai fatto scoprire un nuovo modo di stare in mezzo alle cose, forse di stare al mondo, per\ adesso non sono più tanto sicuro di capirti... Mi stai chiedendo una comprensione che va al di là dei miei limiti... Quello che sto capendo, ogni minuto di più, è che tu non sei un bambino come tutti gli altri...

Camminando erano arrivati di fronte ad un nuovo "scenario", in un enorme spazio sul quale la luce del sole si rifletteva in modo tagliente e fastidioso, il vento aveva acquistato un sibilo sinistro, il selciato rinviava riflessi freddi come l'acciaio, il suono dei passi risuonava estraneo e amplificato.

- Non può essere una piazza- pensava il Bambino - se lo fosse non proverei questa sensazione di vuoto angosciante, ogni elemento mi respinge...

Di fronte allo spazio vuoto c'èra un edificio molto grande e, chiaramente di recente costruzione, era difficile guardarlo senza esserne spaventati... E il Bambino era molto spaventato.
Questa volta fu Xavier a venirgli in aiuto :

- Siamo in una piazza appena costruita, e questo qui di fronte, tutti dicono che sia un edificio importante. Deve esserlo sicuramente, per essere così grande, così bianco e pulito... E poi guarda quanti vetri ha... Ogni volta che li guardo mi viene voglia di romperne uno. Per non pensare alla tentazione che ho di colorare tutto questo bianco...O anche solo scriverci su qualcosa....

- Ma perchè lo hanno costruito, a cosa serve tutto questo?

- Dicono che è per il futuro della città; perchè ogni città per essere veramente importante e al passo con i tempi deve avere edifici grandi come questo...

Mentre Xavier parlava nella mente del Bambino iniziarono ad affluire sempre più chiaramente ricordi di dieci, venti, mille piazze in cui era passato, nessuna trasmettendogli la repulsione che stava provando.

- Le piazze in cui sono stato erano tutte molto diverse. Alcune erano di una tale perfezione che è difficile capire come mente umana abbia potuto progettarle, altre, invece, molto più dimesse di questa che stiamo vedendo, mi trasmettevano una sensazione di protezione, simile a quello di un abbraccio amoroso... Non voglio rinunciare a tutto questo! Qui in mezzo non sento niente...

- Perchè qui è tutto così diverso, di chi è la colpa?- chiese Xavier con occhi tristi.

- Non sprecare la tua energia, Xavier, alla ricerca di colpevoli o colpe. Colpa, colpevoli sono parole usate con troppa frequenza, è molto comodo farlo, quando bisogna vivere in una realtà che sfugge al controllo e di cui si è perso qualsiasi significato. La colpa è qualcosa che non esiste, così come non esistono colpevoli.

- Una realtà senza significato, senza colpevoli, adesso sei crudele!

- No invece, non credo di essere crudele. La realtà in sè non è dotata di un significato assoluto; ogni individuo, con la propria vita, determina e costruisce la sua realtà, il cui valore è dipendente dalla coerenza con la quale porta a termine le sue scelte. Penso che la cosa più difficile sia mantenersi sempre coerenti a se stessi, perchè vuol dire non rinunciare mai a quello che si è, a quello che si vuole, alla propria identità. Quindi non si può parlare di "colpa", ma di "mancanza di coerenza". Inoltre la ricerca di un colpevole impedisce l'abbattimento o la dissoluzione di quel limite precario che non fa ancora immaginare altre realtà, o anche solo questa realtà.

- Di quale limite stai parlando?

- A questo non so risponderti, forse la risposta è lo spazio vuoto di una mancanza. Perchè, allora non riempirlo di idee, di memoria, di immaginazione?

Xavier era sconcertato. Non poteva più aspettare, c'erano troppi interrogativi che lo tormentavano...

- Ma tu chi sei? Da dove vieni? Qual'è la tua città?

- Non so da dove vengo, posso abitare tutte le città e nessuna al tempo stesso, non so esattamente quanti anni abbia. Avolte mi sento come un bambino che sta muovendo i primi passi, per il quale ogni minuto è il tempo per fare una nuova scoperta; altre volte mi sento come un uomo stanco, che di passi ne ha già dati tanti, il suo è un tempo per ricompilare lesue scoperte e le sue esperienze...

- Sai almeno dove stai andando?

- No, non so neanche questo...

Xavier era molto stanco, decise che era arrivato il momento di tornare a casa e di separarsi da quello strano Bambino che gli aveva insegnato tanto. Quanto tempo era passato, da quando si erano incontrati? Non lo sapeva, ma questo non aveva molta importanza. Prima di salutarlo gli disse:

- Finalmente so come mi piacerebbe chiamarti!

-Come?

- Equilibrista.

- Equilibrista... Si potrebbe essere il mio nome. L'Equilibrista che si muove su di un filo che lui stesso intreccia, sul quale costruisce le sue scoperte, le sue città, la sua memoria. A volte ha la tentazione di guardarsi alle spalle, però non lo fa mai, perchè, forse, il filo si dissolve alle sue spalle...

- Addio Equilibrista.

- Addio Xavier.



- ...Sono di nuovo rimasto solo...Prima di riprendere a scrivere voglio ri-appropriarmi della città, di questo grande spiazzo vuoto con l'edificio bianco...Lo riempirò di colori...

Iniziò cautamente tracciando piccoli segni; un po' alla volta i segni diventarono tracce di uno, dieci, mille, infiniti cammini. Le strisce di colori sovrapposti non gridavano, come nei quadri di Munch, lo sconcerto dell'uomo di fronte al vuoto, ma riempivano il vuoto. Il bianco abbagliante del grande edificio non era più riconoscibile: cascate copiose di colori avevano dato vita, come in un quadro di Pollock a macchie che si rincorrevano e scontravano, che non erano però frutto della furibonda concatenazione di gesti contro l'insensatezza della vita. I rossi, i gialli, i verdi, in un armonico caos che sfuggiva a qualsiasi tentativo di successione ordinata, riflettevano una totalità sfuggente e in continua trasformazione senza nessuna drammaticità. Gli strati di colore che sovrapponendosi definivano volumi, diedero finalmente vita ad un nuovo paesaggio.


Paola Gaudio







Web Architecture Magazine, Issue 03, November-December 1996. All rights reserved